Alla fonte del caporalato e dello sfruttamento: quando la GDO strozza i produttori

Da dove viene il caporalato? Viene dagli scaffali dei supermercati, dalle bottiglie di passata di pomodoro a 39 centesimi, da un sistema agroalimentare che mette all'asta l'agricoltura e genera un circolo vizioso che produce sfruttamento e schiavitù. Se vogliamo davvero combattere la condizione di disumanità in cui si trovano moltissimi braccianti, uomini e donne, in Italia (come i 16 morti negli ultimi giorni in Puglia), dobbiamo pretendere (e scegliere) filiere trasparenti e pulite. Perchè "il caporalato uccide, e l'indifferenza pure".

8 agosto 2018 - ​Sono circa le 10 del mattino quando, in mezzo ad un campo dove pascolano pecore e cavalli, arriva un furgone a scaricare 6 bins di zucchine, pomodori, peperoni e melanzane. Sono diversi quintali di ortaggi, quasi tutti in ottime condizioni. Gli animali si lanciano a capo chino su quel ben di Dio e qualche abitante dei dintorni, incoraggiato dal produttore di verdure che le ha scaricate, riesce a farsi qualche scorta di verdura.
“Per la gente che compra la verdura al supermercato, queste zucchine sono troppo grandi, le melanzane troppo larghe, i peperoni troppo storti. E quindi a me restano tutti lì, non riesco mica a venderli. Almeno qua le pecore se li mangiano!” L’agricoltore che ha scaricato i bins porta la sua produzione alla cooperativa agricola di cui è socio, e questa poi rivende alla Grande Distribuzione Organizzata. La stessa Grande Distribuzione Organizzata che, attraverso le aste al doppio ribasso, decide i prezzi dei prodotti agroalimentari puntando al prezzo più basso possibile. Anzi, impossibile: come documentato da una recentissima inchiesta di Stefano Liberti e Fabio Ciconte per Internazionale, le aste elettroniche al doppio ribasso fanno sì che il prezzo finale a cui, chi si è aggiudicato la partita, vende una bottiglia di passata di pomodoro è talmente basso che il più delle volte copre a malapena il costo della materia prima, della bottiglia e del tappo. In tal modo, si crea un circolo vizioso per cui “in una specie di effetto a cascata, ogni attore della filiera finisce per rivalersi su quello più debole: le aziende strozzate dalle aste cercano di ottenere il prodotto agricolo a prezzi più bassi e i produttori provano a risparmiare sul costo del lavoro”. Alla fine della filiera, molto, molto in fondo, ci sono i braccianti. E chi lavora nell’agricoltura industriale riesce a stare sul mercato dimuendo al massimo il loro salario, utilizzando spesso il metodo del “caporalato”, ovvero dell’utilizzo di persone che “raccolgono” i braccianti, li organizzano in squadre e li mandano sui campi in condizioni al limite dell’umano.

Proprio nei giorni scorsi, ben 16 braccianti nel foggiano sono morti in due incidenti stradali. Ammassati in furgoni fatiscenti, venivano portati nei campi a lavorare. Nuovi schiavi e nuove vittime proprio di quel circolo vizioso che ha al suo apice il centro focale del capitalismo moderno: il profitto prima del rispetto del lavoro. Che, in questo caso, veste gli abiti delle grandi catene di supermercati, della GDO, appunto.
Terra Nuova ha appena aderito, insieme a molte altre realtà e persone, all’appello lanciato da Bruno Giordano (magistrato presso la Corte di Cassazione) e Marco Omizzolo (sociologo) “Il caporalato uccide, l’indifferenza pure”: “Solo nell’agricoltura sono 430 mila i lavoratori e le lavoratrici sfruttati, di cui 130 mila in condizioni paraschiavistiche” ricorda l’appello. “Vogliamo rivolgerci a uomini e donne di buona volontà che non vogliono chiudere gli occhi davanti a un prodotto sottocosto sul banco del supermercato, dietro il quale c’è un filiera che inizia con il sangue dei disperati, migranti e italiani. Chi produce, vende, compra, usa un tale prodotto, è l’altro capo dello sfruttamento. E non può più rimanere indifferente”.
Oggi, l’Unione Sindacale di Base ha indetto la “marcia dei berretti rossi”, come i cappellini che i quattro braccianti agricoli morti nell'incidente stradale avvenuto sabato scorso e i quattro feriti indossavano nei campi per proteggersi dal solleone "mentre raccoglievano i pomodori per avere la vergognosa paga di un euro al quintale". La marcia è appena partita da San Severo e arriverà a Foggia. “La verità è che si vuole fare del lavoro agricolo un puro e semplice tema di ordine pubblico: ci sono i cattivi caporali che sfruttano i poveri immigrati clandestini”, afferma USB nel suo comunicato. “Eliminando l’immigrazione e i caporali, il problema è risolto. Invece no: il bracciante sfruttato e costretto a vivere in condizioni disumane, lo è soprattutto perché esiste una filiera con al vertice la Grande Distribuzione Organizzata, che fa e disfa prezzi e quote di mercato, obbligando un intero settore a vivere di spiccioli.”

La filiera agricola nel 2018, dai campi coltivati e fino agli scaffali del supermercato, è abitata da attori che mettono sempre i diritti umani e il lavoro in secondo piano: dalla GDO ai trasformatori, da questi alle aziende agricole, dalle aziende ai braccianti. Tutti gli attori sono solo ingranaggi al servizio di un sistema economico predatorio, al tempo stesso sfruttati e sfruttatori, senza la forza o la volontà per sottrarsi alla logica di questo sistema.
E' necessario più che mai pretendere di trovare prodotti derivanti da filiere pulite sui banchi dei supermercati. E continuare a sostenere l’agricoltura contadina, e con essa tutti i canali di distribuzione diretta e alternativa che non fanno capo alla GDO ma che si basano sulla filiera equa e pulita (mercati territoriali, Gruppi di Acquisto Solidale, botteghe del commercio equo, tra gli altri). Essere parte attiva vuol dire non limitarsi ad “indignarsi sui social”, ma agire concretamente per cambiare le cose. Perché il cambiamento, ora più che mai, è nelle nostre mani. Dire NO allo sfruttamento, agli sprechi alimentari, alle ingiustizie sociali, vuol dire agire e vivere ogni giorno per non alimentarle. Una spesa alla volta.