Diritto alla terra: dai pastori maasai al mondo intero, una lotta per la vita

21 ottobre 2016 - “Vengono per cacciare, per portare a casa un trofeo da appendere in soggiorno. Il problema è che per fare questo si prendono le nostre terre, e noi non abbiamo più spazio per portare gli animali al pascolo, per vivere la nostra vita. Vengono qui a fare quello che non possono fare nei loro paesi”.

Le terre a nord della Tanzania sono da sempre abitate dai pastori maasai, che con la loro cultura e stile di vita sono guardiani della biodiversità presente in quei territori, soprattutto per quanto riguarda gli animali, e forniscono al paese gran parte della carne e del latte, contribuendo ampiamente al PIL nazionale*. Ma nonostante il loro sistema pastorale sia totalmente sostenibile, da anni si trovano a lottare quotidianamente contro un’enorme minaccia: quella del land grabbing.

Edward Loure, pastore maasai e premio Goldman 2016, ha denunciato a gran voce le sfide del suo popolo per la sopravvivenza, durante la conferenza stampa “Tanzania: la lotta di Edward Loure e dei pastori maasai per la terra” organizzata da Terra Nuova nell’ambito della campagna “Hands On The Land for Food Sovereignty” che si è svolta il 19 ottobre presso lo spazio di coworking “Monte Testaccio 34”, a Roma.

Loure identifica alcune delle principali cause di accaparramento di terra nei territori della sua comunità. La prima riguarda le aree di caccia, comprate da cacciatori privati (per lo più stranieri) “solo per il loro divertimento”, togliendo ai pastori ampi territori in cui pascolare le loro greggi. Una seconda causa è l’agricoltura industriale su larga scala, in cui “coltivano cose che noi non possiamo mangiare” (come biocarburanti, per esempio): “Se non riescono a comprare dei grandi pezzi di terra, seguono uno per uno tutti quelli che hanno dei piccoli appezzamenti e li costringono a vendergli il loro pezzettino. Alla fine, hanno ottenuto il grande spazio di cui avevano bisogno. E se non riescono a convincere tutte le persone, usano i canali politici tramite il governo”.

Ed è proprio il governo un altro complice della sparizione delle terre ancestrali utilizzate dai maasai per il pascolo, attraverso la creazione di parchi nazionali (come il Serengeti) con lo scopo di conservare il patrimonio naturale. Tuttavia, questi parchi stanno togliendo l’ultima terra fertile (35% a livello nazionale, che sta arrivando al 50%) ad un popolo il cui stile di vita è totalmente dedito alla conservazione delle risorse naturali e della fauna locale. Di conseguenza, un ulteriore e forte causa di land grabbing è proprio il turismo (per visitare quei parchi nazionali e i maasai stessi): “Noi non siamo contrari al turismo” afferma Loure, “ma oggi ci sono tantissimi tour operator che sfruttano le risorse delle comunità locali, sfruttano il nostro nome, e non ci lasciano niente: accaparrano la terra per costruirci alberghi, con contratti a lungo termine – da 99 anni a contratti permanenti -, dove sulla carta promettono benefici per la popolazione locale, ma poi non è mai così”.

Ma Edward Loure e la sua organizzazione (Ujamma Community Resource Team) hanno deciso di mettere un freno a queste espropriazioni, svendite e usurpazioni delle loro terre: dopo aver studiato innumerevoli leggi e regolamenti, hanno trovato una finestra di entrata (attraverso il Land Act) per cambiare le cose attraverso dei certificati che attestano la proprietà comunitaria delle terre: “Dovevamo documentare il nostro uso della terra, perché fino ad ora tutto è rimasto nelle menti degli anziani, non c’era nulla di scritto”. Queste terre non possono essere vendute, devono essere gestite dall’intero villaggio, i certificati sono permanenti  e costituiscono un forte freno a chi vuole accaparrarsi quei territori. Motivo per cui lo stesso Loure ed altre persone della sua comunità hanno ricevuto diverse minacce e pressioni. Nonostante questo, sono riusciti fino ad ora a proteggere, grazie a questi certificati, 344mila ettari di terra, e mirano ad aggiungerne altri 2000 prima della fine dell’anno.

Le questioni legate all’accaparramento delle terre sono comuni a gran parte delle popolazioni rurali mondiali. Djibo Bagna, presidente della piattaforma che riunisce le organizzazioni contadine in Africa occidentale (ROPPA), ha portato la sua importante testimonianza durante la conferenza stampa: “La terra è il polmone, è la ricchezza dei produttori, ed è quello che ci preoccupa di più. Nel continente africano, le terre sono sempre state comunitarie. Ma oggi abbiamo leggi che si rifanno a quelle del nord del mondo e non tengono conto del rapporto che noi abbiamo con la terra e le risorse naturali.” Ogni comunità ha chiaramente un tipo di utilizzo diverso della terra a seconda dell’attività che pratica (pastori, contadini, pescatori, …). Ma la terra non è un bene elastico: con la crescita demografica e l’aumento di attività industriali legate alla terra (come quelle estrattive), nascono sempre più conflitti e gli episodi di accaparramento e di violazione dei diritti umani sono all’ordine del giorno. “I primi ad investire sono i nostri ministri, i nostri governi, che hanno i soldi e comprano le terre, le chiudono. Diventa ancora più complicato quando le istituzioni internazionali e le grandi industrie come Monsanto, Bill Gates Foundation, iniziano ad acquistare le terre da noi e delocalizzare le loro società creandone di nuove con nomi africani, ma chi gestisce il tutto sono le grandi multinazionali che stanno dall’altra parte del pianeta” denuncia Bagna.

A livello internazionale, si è discusso e si continua a discutere vivacemente di queste questioni. Nel 2012, il Comitato per la Sicurezza Alimentare mondiale (CFS) ha approvato delle Linee Guida Volontarie per la Gestione Responsabile della Terra, della Pesca e delle Foreste, un importante strumento che la comunità internazionale ha messo a disposizione dei governi tracciando i principi e le pratiche a cui governi possono far riferimento nell'amministrare i diritti di proprietà sulla terra e sulle risorse ittiche e forestali. Quest’anno è stato fatto un bilancio per monitorare i cambiamenti che sono avvenuti nei diversi paesi grazie a questo strumento. Un lavoro molto interessante è stato portato avanti dalle organizzazioni della società civile attraverso un "rapporto di monitoraggio", le quali hanno investigato in quasi 50 paesi, in tutti i continenti, intervistando oltre 60 realtà di diversi settori, per verificare questi risultati: “Volevamo capire se la gente è riuscita in qualche modo a migliorare il suo stile di vita” ha spiegato Delphine Ortega (La Via Campesina Argentina) in conferenza stampa, “e soprattutto a frenare o risolvere i conflitti per la terra. Ma anche capire se la gente ha avuto modo di instaurare un dialogo con le istituzioni, con i governi, per partecipare ai processi decisionali”. Da questi risultati, emergono diverse attività portate avanti grazie alle Direttive, come la formazione sui diritti, creare o riformare leggi per proteggere in modo effettivo le persone, fare lobby e monitoraggio dei conflitti. Ma come è stato anche ribadito in questi giorni durante le negoziazioni della 43esima sessione del CFS, “chi difende i diritti umani ed il diritto alla terra è ancora vittima di violenze, abusi, minacci e omicidi”. La società civile ha tradotto le Linee Guida in un “manuale popolare”, alla portata di tutti, per far sì che le popolazioni potessero comprendere fino in fondo come impugnare questo strumento normativo internazionale per poter difendere le loro terre, il loro lavoro, la loro vita.

La lotta per garantire il diritto fondamentale al cibo e alla terra è ancora lunga. Chi prova a mettere un freno all’accaparramento di terra rischia ogni giorno la propria vita. Ma i primi risultati di queste lotte sono ormai sotto gli occhi di tutti.

 

*Per maggiori informazioni sulla cultura maasai, qui alcuni video

 

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