I protocolli che potrebbero proteggere i pastori Masaai

1 febbraio 2017 - "Laikipia e Samuel hanno viaggiato per 5 ore sull'autobus, tengono stretto un mazzetto di ricevute. Queste sono le ultime prove del bestiame che è stato loro confiscato all'inizio di quest'anno (2016). Si lamentano del fatto che hanno perso migliaia di capi, sequestrati dal governo e della polizia, raggruppati in greggi a miglia di distanza e poi venduti. Le comunità sono fortunate se riescono ad avere la possibilità di "ricomprare" il loro bestiame per milioni di sciellini tanzaniani (diverse centinaia di dollari), ma le il gregge è già venduto non avranno nulla. Queste comunità nomadi, una collezione di differenti tribù inclusi i Maasai, sono chiamate pastori".

Così ha inizio un articolo apparso recentemente sull'Ecologist, e firmato da Thembi Mutch ed Ebe Daems, frutto anch'esso (come altri già pubblicati in precedenza) di un'accurata ricerca giornalistica in Tanzania, prodotta da Terra Nuova e CELEP. Secondo le due giornaliste, e secondo uno studio finanziato dal governo danese, moltissimi sono oggi i pastori che nel paese africano vengono sistematicamente sfollati, cacciati dalle loro terre, minacciati, per liberare la terra a ricche èlite che vogliono comprarla, spesso a due soldi, con l'aiuto del governo e delle forze dell'ordine, o di milizie private. 

Qual è il problema? Perchè vengono prese le greggi dei pastori, ed essi stessi spesso cacciati dalle loro terre? In Tanzania, pastori ed agro-pastori allevano il 98% del bestiame e producono la maggior parte del latte e della carne consumati a livello nazionale. Ma il loro ruolo culturale, al di là di quello di allevare gli animali, racchiude anche la custodia di ecosistemi complessi, strategie di decision-making, abilità mediche: tutte capacità che però non vengono riconosciute, di cui si ignora molto spesso l'esistenza, spesso deliberatamente. L'immagine del "classico pastore masaai" viene ampiamente utilizzata per operazioni di marketing, ma della sua vita quotidiana, della sua vera cultura, non si sa nulla. "Il loro stile di vita è percepito come improduttivo dal punto di vista industriale", afferma Paola De Meo, di Terra Nuova, nell'articolo dell'Ecologist. "Dobbiamo fare in modo che l'UE non supporti più l'agricoltura africana che lascia libero sfogo al potere del settore privato. Tutto questo è parte di un processo di mercificazione del cibo, della terra, dell'acqua, dei semi e della natura in Africa. Se guardati attraverso le lenti della "produttività" del sistema industriale, i governi, i donatori, le multinazionali, le aziende private e finanziarie, cercano sempre di più di trarre vantaggio dalle politiche e guadagnano controllo sulle risorse attraverso le filiere. Questo è distruttivo ed inefficiente".

Ma potrebbe esserci un modo per cambiare le carte in tavola, almeno per i pastori tanzaniani. Il recente Protocollo di Nagoyo (2014) è un "meccanismo che fornisce un quadro legale trasparente per una condivisione equa e giusta dei benefici che derivano dalle risorse genetiche. Si fonda sulle leggi per la Giustizia Naturale dell'UNEP del 2009, e sui Protocolli Bio-Culturali derivanti da esse." In buona sostanza, con l'applicazione di questi protocolli, il Nord del mondo non sarebbe più in grado di impadronirsi delle risorse genetiche del Sud attraverso i brevetti, da cui guadagnano molto e che, poi, precludono l'accesso ai naturali fruitori di quelle risorse. Per esempio, alcuni governi come quello tedesco hanno iscritto i Protocolli Bio-Culturali nelle loro azioni strategiche in Tanzania.

La via per una gestione comunitaria delle risorse naturali, rispettosa dei sistemi, delle conoscenze, delle innovazioni, dei diritti e delle pratiche - come la conservazione e l'uso sostenibile - della popolazione indigena, sta per essere "potenzialmente riconosciuta istituzionalmente". In tantissimi hanno condannato l'accaparramento di terre in tutte le sue più disparate forme: Terra Nuova lo fa da anni, così come la campagna Hands on the Land, CELEP, FIAN, TNI, e molti altri tra cui anche personalità di rilievo come l'ex rapporteur delle Nazioni Unite per il Diritto al Cibo, Olivier De Schutter. "Ma ci sono ancora delle vittorie fondamentali da ottenere - soprattutto con la Banca Mondiale, che permette a paesi come la Tanzania di rinunciare alle clausole che proteggono i loro popoli indigeni".

 

Fonte: The Ecologist