Il mito (da sfatare) della terra “abbondante” in Tanzania

Nonostante i proclami del Governo, la realtà è che in Tanzania di terra libera non ce n'è più. Grazie agli accordi del Paese per la "New Alliance", è stato lasciato tutto nelle mani della multinazionali, in nome di una crescita della produttività agricola che però sta devastando la popolazione locale. Tutta la terra a disposizione è stata svenduta per il "SAGCOT", il "corridoio agricolo" della Nuova Alleanza, e i pastori non sanno più dove portare al pascolo le greggi. I conflitti con i contadini per la terra sono all'ordine del giorno, e lasciano una scia di morti e distruzione dietro di loro.

28 maggio 2018 - “Quando i pastori vengono cacciati da una terra, o viene loro impedito di accedervi, quello che si sentono dire dal governo locale è che quella terra ora appartiene ad un investitore”.
A sentire i sostenitori della Nuova Alleanza per la Sicurezza Alimentare e la Nutrizione, grazie ai programmi milionari che governi e multinazionali metteranno in atto insieme, entro il 2022 50 milioni di africani usciranno dalla povertà.
Iniziata nel 2012, questa “New Alliance” fra i Paesi del G7 ed altri 10 Paesi africani vede il settore privato come chiave di volta per trasformare l’agricoltura africana (qui un approfondimento nostro e di TNI sull'argomento). In Tanzania, in particolare, questo grande progetto ha in realtà preso avvio già nel 2009, quando il governo ha “devoluto” ben un terzo del suo territorio nazionale allo sviluppo agricolo, sfollando i contadini e produttori di piccola scala, per creare il “Corridoio meridionale per la crescita agricola della Tanzania” (Southern Agricultural Growth Corridor of Tanzania – SAGCOT), per incentivare le multinazionali ad investire e ridare vita al settore agricolo, aumentandone la produttività.

Abbiamo già parlato del SAGCOT (qui), soprattutto in riferimento alla questione relativa ai pastori (in questo policy brief). Questi ultimi infatti sono senza dubbio i più colpiti dagli effetti negativi che questo enorme progetto di privatizzazione sta avendo sulla popolazione locale, in primis a causa dei conflitti tra i pastori stessi e i contadini, generati dalla sempre più grave mancanza di terra su cui portare al pascolo le greggi. Tuttavia, in un recente articolo pubblicato su African Arguments, si evidenzia come, con l’implementazione sempre più massiccia del SAGCOT, questi conflitti si siano acuiti e la situazione sia sempre più grave. “I pastori stanno combattendo contro i contadini con pistole, frecce, lance. Centinaia di persone sono state uccise. Lo scorso anno, i contadini hanno ucciso 3 persone, investendoli deliberatamente con le auto. Le donne vengono violentate”. Queste le parole riportare nell’articolo su citato, e pronunciate tra le lacrime da Florence, una donna che pratica la pastorizia nella comunità di Parakuyio, e intervistata dall’autrice (che ha voluto restare anonima) dell’articolo.

Questa denuncia, insieme alle tantissime altre, sono il segno evidente che questa nuova ondata di investimenti  in Tanzania non è indolore. Anzi. Nonostante il governo affermi che solo il 24% della terra arabile viene attualmente utilizzata nel Paese, la verità è che i pastori e i contadini utilizzano queste terre, considerate inutilizzate,  da secoli, pur non avendo mai avuto alcuna proprietà, e ormai sono arrivati ad una situazione di esasperazione proprio perché, con il progetto SAGCOT, quella stessa terra gli è stata letteralmente tolta da sotto i piedi, e i pastori, in particolare, non sanno più dove portare il bestiame al pascolo.
Invece che garantire sicurezza alimentare e nutrizione, come afferma la sigla stessa della New Alliance, il megalomane progetto sta privando un’importante fascia di popolazione di quelle sicurezze vitali, tra cui accesso al cibo e all'acqua, che fino a poco tempo fa erano loro garantite dal loro stile di vita.

L’articolo si apre con un racconto che spiega bene la situazione. Nella zona orientale della Tanzania, tutto il territorio è invaso dalla coltivazione massiccia di pomodori, per la maggior parte destinata all’esportazione e destinata a fare  incredibili giri del mondo per arrivare poi chissà dove, e per essere venduti a prezzi stracciati, devastando le economie locali e soprattutto coloro che coltivavano l’ortaggio prima di essere travolte da tale sistema di produzione basato sulle multinazionali dell’agroindustria . La terra, spiega l’articolo, “è stata coltivata dagli abitanti della Tanzania per generazioni, ma ora la maggior parte di essa è di proprietà di grandi industrie su larga scala, che utilizzano sementi ibride importate  e vi è sovrapproduzione.” Un contadino intervistato afferma: “Ora non abbiamo più acqua nel villaggio. Quella che c’era Viene tutta utilizzata per produrre pomodori. Il prezzo del pomodoro ora è davvero basso, a causa della sovrapproduzione, e noi non abbiamo più terra per coltivare il nostro cibo”.

“Le lotte tra i pastori e contadini sono un indicatore chiaro del fatto che non c’è più terra libera a disposizione a causa del SAGCOT”, sostiene, sempre nell’articolo, Lusugga Kironde, un consigliere del governo incaricato nel 2016 dalla Banca Mondiale di fare il punto sulla questione della terra in Tanzania. “Se ci fosse la terra, non vedremmo questi scontri. Gli stessi contadini non avrebbero invaso le terre dei pastori”.

Paola De Meo di Terra Nuova, in un commento riportato dall’autrice, ribadisce che le comunità di pastori sono proprio tra le più colpite da questa “ideologia”, che è rafforzata dalla concezione del tutto errata secondo cui il sistema produttivo dei pastori non è economicamente efficiente. Queste stesse comunità si sentono, inoltre, completamente abbandonate dallo Stato, che ha svenduto le loro terre in favore del SAGCOT, promossa da investitori internazionali,  e non ascolta invece la voce dei suoi cittadini.

 

Foto: @Ebe Daems