Valsamoggia celebra il vero gusto della filiera pulita

23 maggio 2017 - Pochi giorni fa, il 18 maggio 2017, tra le maestose mura della Rocca dei Bentivoglio, a Bazzano (Valsamoggia, BO), si è parlato di ghetti, di sfruttamento, di filiere sporche e di salse di pomodoro che arrivano sugli scaffali dei supermercati per essere vendute a 50 centesimi, ma con alle spalle una scia di dolore, di illegalità, di azzeramento dei diritti.
Jakob Kwabena Atta, che lavora con la Flai CGIL della Piana di Gioia Tauro, era agitatissimo prima del suo intervento: temeva di non riuscire ad esprimersi bene con il suo italiano ancora imperfetto. E invece ci è riuscito benissimo, e le sue parole sono arrivate, semplici ed immediate: “Ad un certo punto hanno tagliato le 4 gomme del camper del sindacato di strada [il suo lavoro con la Flai, ndr]. Io avevo paura e mi sono chiesto se continuare. Poi ho pensato a cosa avevano fatto e a cosa allora avrebbero potuto  fare ai braccianti africani che non conoscevano neanche i loro diritti. E siamo ripartiti subito”.

L’incontro, dal titolo “Il prezzo della dignità. Le mani delle mafie sul lavoro migrante”, è stato un importante momento di confronto nell’ambito del festival Aut/Aut – La cultura contro le mafie, che diverse realtà del territorio a cavallo tra Modena e Bologna organizzano ormai da 6 anni, per parlare di legalità, di lotta alle mafie, di dignità, e che quest’anno ha visto anche la collaborazione della campagna Hands On The Land for Food Sovereignty. E le filiere dell’agroalimentare, come quella delle arance o dei pomodori, sono state messe al centro del dibattito che lega criminalità organizzata/illegalità, e migranti. L’incontro è stato pensato per capire da dove arriva questo fenomeno, come è evoluto nel tempo e qual è il suo ruolo nell’agricoltura italiana, come è arrivato ad essere un anello fondamentale della catena dello sfruttamento del lavoro e quali sono le alternative concrete per assaporare un piatto di pasta al pomodoro senza essere complici della schiavitù.

Logiacco (segretaria generale della Flai CGIL di Gioia Tauro) e Atta hanno raccontato del loro lavoro di sindacalisti di strada, dove ogni giorno escono alle 5 del mattino per girare in bicicletta per portare ai lavoratori migranti impiegati nella raccolta delle arance e dei mandarini le informazioni sui loro diritti, sui contratti di lavoro, sul fatto che non dovrebbero essere pagati solo 50 centesimi per un cassone di arance.
La lotta sui territori è anche contro i caporali, che organizzano le squadre di lavoratori e che speculano sulla loro bassissima paga. La legge sul caporalato approvata ad ottobre scorso, voluta e ben accolta dal sindacato, ha già fatto ottenere l’arresto di alcuni di caporali controllati dalle “ndrine”. Le mafie, soprattutto la ‘ndrangheta, hanno già fatto arrivare i loro tentacoli sul fenomeno nella Piana di Gioia Tauro, e attraverso i caporali anch’esse guadagnano e speculano sulla pelle dei braccianti, ultima ruota di un pesantissimo carro.

La questione però è molto complessa, come ha spiegato Domenico Perrotta, ricercatore dell’Università di Bergamo e fondatore di Funky Tomato: il caporalato è una pratica che esiste da sempre, soprattutto laddove lo Stato, assente, non offre alcun sostegno in termini di organizzazione e contatto con la manodopera (funzione svolta dal collocamento pubblico prima della sua abolizione), e che nel tempo è degenerata, portando ad un sempre maggiore sfruttamento dei lavoratori. Ciò non toglie che esistano altri modi di fare agricoltura senza dover ricorrere ai caporali: un esempio lampante è quello di Funky Tomato, il “pomodoro a filiera partecipata”, dove i braccianti stranieri sono regolarmente impiegati nella filiera, dalla raccolta alla lavorazione, ricevendo paghe dignitose, e soprattutto garantendo il rispetto dei loro diritti.

Un altro esempio di buona pratica è stato raccontato da Valentina Tiecco, della coop. soc. Arca di Noè, che gestisce in Valsamoggia un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria), dove sono ospitati più di 30 ragazzi prevalentemente provenienti dall’Africa Occidentale. In collaborazione con Slow FoodSamoggia e Lavino, la cooperativa ha creato un “orto africano”, frutto delle idee degli ospiti stessi e gestito interamente da loro, dove gli ortaggi coltivati vengono poi consumati dai ragazzi.

Il dibattito, che ha visto anche grande interesse reciproco tra i relatori e creato le basi per un dialogo e iniziative future, e che è stato egregiamente moderato da Annalisa Autiero di Libera Bologna, si è concluso con un intervento di Terra Nuova, tra gli organizzatori dell’evento, che da poco ha aperto una nuova sede a Modena e lavora anche sul territorio della Valle del Samoggia: restando in tema di buona pratiche, e di cosa può essere fatto da ciascuno per sostenere quell’agricoltura che non sfrutta il lavoro dei braccianti, si è parlato dell’importanza di una legge sull’agricoltura contadina (attualmente con 4 proposte ferme in commissione agricoltura), e di una Dichiarazione delle Nazioni Unite per i Diritti dei Contadini, troppo spesso negati e calpestati in nome del profitto e dell’agroindustria. La legalità, la giustizia, i diritti, la dignità, per braccianti e contadini, invece, passano anche e soprattutto attraverso un’agricoltura di piccola scala, rispettosa della terra e di chi la lavora.

La serata si è conclusa con una cena a base di prodotti provenienti da filiere etiche e solidali: dal pomodoro di Funky Tomato alla pasta di Altromercato, che nasce dal progetto “Solidale Italiano” e che mette in relazione il mondo del commercio equo e solidale con quello dell’agricoltura contadina italiana e biologica. Un connubio di sapori, esperienze, dialoghi, conoscenze, che ha permesso ai partecipanti di assaggiare il vero gusto della legalità e della dignità.