Legge contro il caporalato: un anello di una complessa catena

28 ottobre 2016 - Da poco più di una settimana è stato approvato anche alla Camera (dopo aver ottenuto l'ok del Senato quest'estate) il ddl sul caporalato, che ora, quindi, è diventato legge a tutti gli effetti, con solo una manciata di astenuti (Lega e Forza Italia) e nessun voto contrario. La legge prevede pene severe non solo per i caporali, ossia gli intermediari (illegali) che organizzano le squadre di lavoratori in cambio di una percentuale, senza badare troppo a sfruttamento e, in molti casi, a condizioni vicine alla schiavitù, ma anche per le aziende che non possono ormai fare più finta di non sapere quale percorso affrontano i lavoratori che (sotto)pagano.

Tuttavia, come sottolineano Fabio Ciconte e Stefano Liberti in un articolo uscito su Internazionale, accanto alla repressione del fenomeno non vi è una proposta alternativa legale, rispettosa, vantaggiosa sia per i lavoratori che per i datori di lavoro, troppo presi stretti nella morsa di un sistema agro-alimentare che pretende produzioni e ritmi di lavoro sempre più elevati a prezzi sempre più stracciati. "Queste persone – i “caporali” – garantiscono la giornata di lavoro nei campi e i servizi accessori, trasporti, cibo, acqua. Ci lucrano e ne traggono guadagni illeciti. Ma, nella visione di chi lo pratica e di chi ne fa uso, il caporalato è un normale meccanismo di intermediazione lavorativa, in cui l’organizzatore è l’interfaccia tra le squadre di lavoratori e l’imprenditore agricolo."

La filiera dunque non può essere davvero "pulita" da qualsiasi forma di schiavismo, abuso, violazione e violenza, o sfruttamento, semplicemente approvando una legge che reprime un anello della filiera stessa. "Penso sia utile premere sulla responsabilità delle imprese. Sono responsabili più di chiunque altro" commenta Leonardo Palmisano, autore di Ghetto Italia e presidente della casa editrice Radici Future. E come afferma Marco Omizzolo, presidente di InMigrazione e Tempi Moderni, "È un passo in avanti ma non l'unico necessario, e soprattutto le direzioni da seguire possono essere anche altre."
Proprio un articolo pubblicato recentemente sulla rivista online, ricorda che Omizzolo è stato tra i primi ad aver "denunciato l’azione criminale di alcuni indiani nel pontino, il sistema internazionale criminale nel quale sono inseriti insieme ad alcuni datori di lavoro italiani, la loro capacità di gestire, sul piano economico, sociale e formale, la tratta internazionale a scopo di sfruttamento lavorativo, il caporalato e forse anche prassi ricattatorie, usuraie e di vera intimidazione mediante spedizioni punitive nei riguardi dei sottoposti non accondiscendenti​". Queste azioni criminali, afferma il sociologo, vanno represse con forti azioni da parte dello Stato, ma vanno anche prevenute. La legge contro il caporalato è sicuramente uno strumento importante per reprimere queste nuove forme di criminalità, e lo dimostra il primo arresto effettuato ad una settimana dalla sua approvazione, proprio nel Sud Pontino, a Sabaudia, nei confronti di un indiano accusato proprio di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Le sue vittime erano decine di braccianti indianti che poi venivano impiegati in una cooperativa agricola della zona.
"In realtà, più che di una piccola cooperativa a gestione familiare, stiamo parlando di una vera e propria azienda agroindustriale, tra le più grandi nella provincia di Latina e inserita nel circuito internazionale del mercato ortofrutticolo, con diverse centinaia di ettari e un fatturato che si aggira tra i 16 e i 18milioni di euro l’anno."​ leggiamo su Left.

Un sistema, quello della grande distribuzione organizzata, fatto di filiere non trasparenti, basate sull'agroindustria, che non si curano nè di chi lavora nei campi nè di chi quei campi li gestisce: l'importante è il fatturato. E inesorabilmente diventa chiaro come questo sistema sia esso stesso la base di un sistema criminale, come quello del caporalato, o di tutte le varie infiltrazioni mafiose nel variegato mondo agro-alimentare, nel Sud Pontino come nel resto d'Italia (e non solo). Il caporale è, appunto, l'anello di una catena ben ancorata al muro del profitto, che stringe polsi e caviglie a braccianti e contadini, ed è tenuta stretta, consapevolmente o meno, dai consumatori, i quali hanno il diritto di sapere da dove viene e chi produce il cibo che mettono sulle loro tavole, ma anche il potere di scegliere cosa comprare.

 

Foto: www.tempi-moderni.net