Il partigiano che veniva dalla Somalia

La resistenza era un fuoco che ardeva ovunque ma che non si vedeva. I partigiani e le partigiane appartenevano a ogni gruppo sociale o anagrafico e innumerevoli erano anche le loro fisionomie eppure si riconoscevano tutti e tutte nella stessa fiamma che li pervadeva e che rendeva necessario schierarsi, ognuno con i propri mezzi, dalla parte giusta che non poteva non essere quella dell'impegno, della libertà e della solidarietà; in due parole, la parte sfacciatamente antifascista.

Per questo, noi di Terra Nuova, in questi tempi di razzismo e intolleranza galoppanti, riproponiamo il bell'articolo di Lorenzo Teodonio, apparso su "Il Manifesto" il 23 settembre 2023 dedicato a Giorgio Marincola, "il partigiano che veniva dalla Somalia".

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Cento anni fa, il 23 settembre 1923, in un villaggio della Somalia Italiana nasceva Giorgio Marincola. Mahadaay Weyn appare in una vecchia mappa coloniale con una struttura urbanistica in stile apartheid, con una rigida divisione fra militari italiani, ascari e indigeni. Giorgio nasce da una relazione fra Giuseppe, militare italiano originario di Pizzo Calabro, e Aschirò Assan, donna somala.

DOPO UN PAIO d’anni arriva la sorella Isabella e i due vengono portati in Italia. Cresceranno in contesti diversi: Giorgio dagli zii di Pizzo, Isabella a Roma nella “nuova” famiglia messa su da Giuseppe con una donna sarda. Tale divisione avrà grandi ripercussioni sulla vita dei due. Mentre Giorgio vive un’infanzia serena, Isabella cresce in una Roma sempre più “capitale di un Impero”. Qui una ragazzina nera è al centro di numerosi e vergognosi atti di violenza fisica e verbale.

Giorgio si stabilisce definitivamente nella casa di Casalbertone (il cui terrazzo è stato reso famoso dalla lezione di Totò sulle casseforti) all’inizio del Liceo. La scuola era chiamata Umberto Primo ed è oggi dedicata a Pilo Albertelli. Un istituto particolare proprio per la presenza del professore-filosofo Albertelli e poi per la provenienza degli studenti dalla periferia di Roma, data la vicinanza della scuola con la stazione Termini. Giorgio entra in una classe dove l’antifascismo “sociale” e spontaneo si fortifica nelle lezioni di quel professore di filosofia che poi morirà alla Fosse Ardeatine.

Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Medicina con l’intenzione di specializzarsi in medicina tropicale per tornare, racconta ai suoi amici, in Somalia. Ma ormai l’Italia è in guerra e, dopo l’8 settembre 1943, insieme ai suoi compagni di classe, Marincola riprende i contatti col prof. Albertelli. Caio Cefaro, il suo migliore amico, parlerà di «piccoli partigiani». In realtà cominciano l’attività clandestina nel Partito D’Azione, che a Roma darà tanto filo da torcere a nazisti e fascisti.

GIORGIO COMBATTE anche nel viterbese e, dopo la liberazione del giugno 1944, decide di continuare la lotta. Salutati i suoi amici a Piazza Maggiore, viene arruolato nei servizi segreti inglese e paracadutato vicino Biella. Ferito a una gamba il 15 settembre durante un attacco a una colonna di automezzi tedeschi, finisce in arresto il 17 gennaio 1945 durante un rastrellamento. Viene trasferito a Villa Schneider, nel capoluogo piemontese, presso il locale comando della polizia militare tedesca, dove è costretto a parlare ai microfoni di Radio Baita, l’emittente fascista dedita alla propaganda anti-partigiana.

Qui Marincola ha il coraggio e la prontezza di non ripetere il canovaccio a cui era costretto e sceglie invece di motivare la propria scelta, identificando la patria con quel «sentimento di libertà» che aveva appreso da Albertelli. Trasferito a Torino, all’inizio di marzo 1945, è deportato presso il Lager di Bolzano. Il campo viene liberato il 30 aprile 1945. A quel punto la Croce Rossa gli offre il trasferimento in Svizzera, ma Giorgio decide di continuare, ancora una volta, la lotta. Muore nell’ultima strage nazista in territorio italiano: il 4 maggio 1945, nella località di Stramentizzo in Val di Fiemme (il luogo è stato sommerso, negli anni Cinquanta, da un lago artificiale).

INSIEME A Carlo Costa abbiamo sentito per la prima volta il nome di Giorgio Marincola da Mario Fiorentini, una ventina d’anni fa. Mario e Giorgio hanno vissuto una lotta partigiana simile: combattendo prima a Roma e poi al Nord, con l’idea di seguire sempre il fronte. Da lì è iniziata una ricerca fra archivi e testimonianze. Su tutte: quella di Isabella, sua sorella, morta nel 2010. Questo percorso ci ha portato a pubblicare, nel 2008, la biografia di Giorgio, Razza Partigiana (editore Iacobelli, seconda edizione 2016).

Il libro ha avuto un suo successo e la storia di Marincola ha cominciato a circolare. Prima ancora del libro, su istanza dell’Associazione Nazionale Comunità Italo-Somala la giunta capitolina guidata da Walter Veltroni gli aveva dedicato una strada. Un’altra era già a Biella e poi diverse ne sono sorte in vari comuni. Nell’estate 2020 il consiglio comunale di Roma – con 27 voti favorevoli, 4 contrari e 4 astenuti – ha approvato la mozione per dedicare a Giorgio Marincola la stazione della metro C “Amba Aradam” (luogo legato alla guerra coloniale). L’attuale giunta, in maniera improvvida, ha cambiato opinione.

SU GIORGIO sono usciti opere artistiche di diversa natura. Tra queste: lo spettacolo Come fratelli e sorelle; vite profughe, esistenze partigiane di Tamara Bartolini e Michele Baronio; il documentario Sul cammino di Marincola di Armin Ferrari prodotto dalla Rai; il reading Razza Partigiana di Wu Ming 2. Sempre Wu Ming 2, con Antar Mohamed Marincola, ha pubblicato Timira (edizioni Einaudi), “romanzo meticcio” scritto come una sorta di autobiografia di Isabella Marincola.

La sua storia ha in un certo senso innescato un serie di altre opere riguardanti partigiani particolari, fra cui Negro, ebreo, comunista (edizioni Odradek), libro di Mauro Valeri su Alessandro Sinigaglia, o Partigiani d’Oltremare (edito da Pacini nel 2019), scritto da Matteo Petracci.

DA SEGNALARE, infine, l’intitolazione al partigiano Marincola dell’aula di scienze del liceo Albertelli avvenuta nel 2010. Da questa iniziativa sono partiti una serie di laboratori di storia tenuti nell’istituto ed è iniziata l’organizzazione dell’archivio personale di Giorgio, costituito da appunti di natura politica in cui è chiara l’influenza di Albertelli e da alcuni piccoli componimenti di carattere letterario. Quest’archivio, piccolo ma significativo, è stato donato pochi giorni fa al Museo della Liberazione di via Tasso. Cent’anni fa Giorgio ha cominciato a inseguire, in quel piccolo villaggio della Somalia, una liberazione che lo ha portato a combattere sempre e comunque il fascismo, «oltre il tronco il cespuglio il canneto» per l’avvenire di «un giorno più umano, più giusto più libero e lieto».

E OGGI POMERIGGIO, con letizia e libertà, porteremo il suo nome fra le strade di Roma in un percorso che unisce la sua casa di Casalbertone a quella Prenestina dove abitavano i suoi amici e dove crescevano “piccoli partigiani” che abbiamo nel cuore. Oggi più che mai.