Perù, Diritto alla terra: la battaglia di Máxima Acuña

29 gennaio 2016 - Tre anni fa, avevamo già parlato di Máxima Acuña de Chaupe, la contadina peruviana che nonostante violenze, intimidazioni, azioni legali intentate ingiustamente sta tentando di resistere alla forza del super progetto Conga, in Perù, finalizzato a estrarre oro, argento e altri materiali preziosi.

La compagnia mineraria Yanacocha,  che ha tra i suoi investitori la Banca Mondiale, ha dichiarato guerra a questa donna minuta cinque anni fa e fa di tutto per farla andare via. Ma “no pasaran”, sostiene lei con forza.

Maxima Aucuna è oggi un simbolo per quanti lottano contro l’accaparramento delle risorse naturali, in Perù come ovunque nel mondo. Una lotta troppo spesso impari ed estremamente dura. Ma sempre più agguerrita. “Si comincia a morire quando si smette di parlare delle cose che realmente contano”, sosteneva Martin Luther King. Per questo è fondamentale continuare a raccontare la sua storia.

Il progetto Conga ha fame ingorda di terra e di acqua. In particolare, ha fame dei laghi di montagna presenti nel distretto di Sorochuco. Sfortunatamente, uno di questi laghi è proprio sulla proprietà di Maxima. Inutile dire che quello specchio d’acqua è lì da sempre. Da prima che, nel 1994, la donna acquistasse quella piccola parcella di terreno per sé e la sua famiglia. Molto prima, quindi, che nel 2011 i rappresentanti della Yanacocha si presentassero a lei per comprarlo, quel pezzo di terra e acqua, in cambio di una generosa offerta presto rifiutata. Ma, da quel momento, per Maxima e la sua famiglia si è scatenato l’inferno.

Nonostante gli attacchi, i tentavi di esproprio, le violenze e le intimidazioni, però, Maxima resiste fino ad essere chiamata in giudizio dalla stessa Yanacocha perché occuperebbe "illegalmente" il suo terreno. Come nelle peggiori storie del nostro tempo, il più forte ha la meglio e la donna viene condannata a tre anni di reclusione fino a quando l’Alta corte di Cajamarca, denunciando le numerose irregolarità del processo - tra cui la totale negazione del titolo di proprietà della donna - non la rende di fatto l’unica, legittima proprietaria del terreno.

Le sue tribolazioni, tuttavia, da questo momento in poi aumentano in maniera direttamente proporzionale al moltiplicarsi dei tentativi di intimidazione e alle angherie che è costretta a subire. Un anno fa, 200 persone hanno fatto irruzione nella sua proprietà demolendo una nuova costruzione che avrebbe dovuto sostituire la sua dimora attuale. Come se non bastasse, poi, l’impresa fermerebbe arbitrariamente l’accesso ad alcune strade tradizionali per impedire a Maxima e alla sua famiglia di lavorare o di recarsi al mercato locale. Persino i membri di alcune ONG fanno fatica a incontrare la contadina. Come raccontato sul sito di Mr Mondialisation, Glevys Rondón, dell’agenzia Latin American Mining Monitoring Programme, si è visto barrare la strada da una guardia della compagnia mineraria. “Ho trascorso qualche ora in una specie di commissariato. Una volta uscito, ho dovuto fare un giro enorme per constatare le condizioni deplorevoli in cui vive la famiglia Chaupe”.

Lo scorso mese di aprile, Maxima ha raccolto 150.000 firme per protestare contro i tentativi di intimidazione della multinazionale Yanacocha. Il numero delle persone disposte a non arrendersi aumenta, quindi. E regala, forse, un po’ di speranza. 

Fonte e Foto | Mr Mondialisation