Colombia: mezzo secolo di guerra civile e non riuscire ad uscirne…

4 ottobre 2016 - Con una sorpresa solo per chi conosce poco il Paese, il referendum popolare di domenica 2 ottobre ha segnato una battuta d’arresto ad un faticoso percorso di dialogo tra il governo della Colombia e la principale formazione guerrigliera, le FARC.
Questo risultato ha del paradossale, in una società che complessivamente ha espresso più volte il bisogno, la volontà, l’inevitabilità della pace e che ora sembra scegliere per la prosecuzione del conflitto.

Approfondendo il discorso, va però detto innanzitutto che l’astensionismo è stato molto elevato in questo appuntamento elettorale, e la vittoria del ‘no’ all’accordo di pace è stata di stretta misura. Il tasso di affluenza è stato infatti del 37,2 % e i voti espressi circa 13 milioni; il no ha ottenuto il 50,2 %, contro il 49,7 % dei sì, con una differenza in numeri assoluti di 60mila voti.  Questa dimensione numerica da un certo punto di vista colloca nella giusta dimensione –relativamente ridotta e superabile-  una ‘sconfitta’ dei negoziatori, ma non riduce la preoccupazione per la situazione di stallo che si potrebbe creare e non autorizza a rimuovere un’analisi sulla società colombiana e i profondi traumi che la percorrono e la dividono. E’ probabile, insomma, che la voglia di pace dopo più di cinquant’anni di conflitto, conviva con gli strascichi, i risentimenti e le rimozioni di un conflitto che ha causato 260mila morti e la sparizione di 45mila persone. E’ indicativa la ‘geografia’ del voto, con una maggioranza a favore dell’accordo nelle zone ancora in conflitto, ed un rifiuto nelle zone urbane e laddove da più tempo si era ‘pacificato’ il territorio. In altre parole: dove gli orrori della guerra sono più recenti, il ‘sì’ si è affermato in modo significativo,  come nel caso del Cauca (68 %), Chocó (80 %), Putumayo (66 %), Vaupes (78 %).
Il ruolo giocato dal cosiddetto ‘uribismo’ (i gruppi politici legati all’ex-presidente Uribe), dalla destra espressa dai gruppi paramilitari, da una parte dei mezzi di comunicazione è notevole nel caricaturizzare la situazione, proponendo la fotografia del comandante delle FARC Timoshenko con la fascia presidenziale, facendo intendere che la vittoria del ‘sì’ al referendum fosse un voto per le FARC. 

Sicuramente si tratta di una ‘doccia fredda’ per il presidente Santos, che dovrà ora dimostrare capacità di gestire la situazione e  costruire un carisma ancora debole; le sue prime dichiarazioni sono comunque importanti e determinate nel proseguire un cammino di pacificazione (va detto che il referendum non era una tappa obbligata per la ratifica dell’accordo di pace, ma era stato voluto da Santos per dare una legittimità al processo di pace, facendo evidentemente male i conti con la polarizzazione presente nel Paese).
Ma la frustrazione è forte anche nelle fila delle FARC, dove si spera che vinca la ragionevolezza e la meditazione e non il richiamo  del riprendere le armi trincerandosi nella più ‘facile’ abitudine allo scontro armato, che non alla dialettica politica.

Una grandissima responsabilità pesa dunque sulle spalle del presidente Santos e della dirigenza guerrigliera, sapendo che in larga misura il raggiungimento della pace in Colombia avrebbe un profondo significato per tutta l’America Latina.   

(di Piero Confalonieri)

 

Foto: Flickr @Camilo Rueda Lopez