Una marcia per costruire legami e chiedere il rispetto dei diritti dei braccianti

24 aprile 2017 - Lunedì 17 aprile, si è svolta una Marcia Contro il Caporalato a Borgo Mezzanone, nel foggiano, proprio nel cuore della Puglia dove questo fenomeno mafioso è ampiamente presente e spesso considerato in maniera fin troppo marginale e sottovalutato. Più di 300 persone hanno partecipato e moltissime sono state le adesioni. Anche Terra Nuova ha aderito all'appello lanciato dai promotori e sostenuto la marcia, ed abbiamo voluto intervistare Marco Omizzolo, sociologo e scrittore, e presidente di Tempi Moderni ed InMigrazione, che insieme ad altri ha coordinato l'evento.

Ieri c’è stata la Marcia contro il caporalato organizzata con Leonardo Palmisano ed altri scrittori e giornalisti. Qual era l’obiettivo della marcia? Lo avete raggiunto?

La marcia è nata in seguito alle ennesime morti dei braccianti nei ghetti pugliesi. Tragedie che si ripetono sistematicamente nelle campagne italiane e sistematicamente c’è l’assenza dello stato: dinanzi alla tragedia delle tragedie, alla morte di un bracciante, lo stato sembra latitante. Per questo un gruppo di persone che rappresentano la società civile ha deciso di dare un segnale di solidarietà, che accendesse un riflettore sul tema ma che lanciasse anche alcune proposte. Abbiamo infatti mandato un appello. La marcia è riuscita, c’erano circa 300 persone, con soggetti appartenenti a diverse realtà: è stata un’iniziativa laica e non di partito.

Cosa chiede il vostro appello?

L’appello prevedeva una serie di proposte: in particolare, specializzare le procure dove il fenomeno del caporalato e delle mafie è più radicato ed evidente e riorganizzare servizi sociali. Perché a Borgo Mezzanone, nel “ghetto dei bulgari”, la cosa drammatica era osservare come una baraccopoli che contiene circa mille persone non avesse un solo servizio sociale: né i servizi igienici, né l’acqua, né l’elettricità. E quel ghetto non era soltanto di lavoratori, che già di per sé sarebbe stato grave, ma c’erano nuclei familiari con bambini... Che vivono in baracche di fango e legno trovato per strada, senza nulla...  A poca distanza da quel ghetto c’è una delle aziende di trasformazione del pomodoro più grande d’Italia, una di quelle che fanno il prezzo del pomodoro... E questo dà perfettamente la dimensione di un rapporto sbilanciato.
E’ chiaro che le proposte che abbiamo fatto non possono essere realizzate da un giorno all’altro, ma devono comunque entrare nel dibattito politico e culturale di questo paese. Non è solo una questione economica e di retribuzioni, ma è proprio una questione di diritti umani. Lì quei bambini non vanno a scuola. E la presenza di Amnesty al corteo ci ha ricordato proprio questo. Lì c’è la miseria più assoluta... e nonostante il corteo e la presenza delle forze dell’ordine, i furgoncini dei caporali continuavano a fare la spola, con decine e decine di braccianti, uomini e donne, che andavano a lavorare nei campi. A noi sembrava di stare in un paese completamente fuori dal governo dello stato...

C’è stata partecipazione diretta dei migranti e braccianti?

Erano presenti diversi richiedenti asilo. La marcia non era organizzata per partire con loro ma per arrivare al ghetto dei bulgari e stringere un rapporto con loro. Il messaggio era “siamo noi che veniamo da voi, vi diamo il microfono”. E infatti uno dei loro rappresentanti è stato invitato ad intervenire, ha preso il microfono, ha raccontato la sua storia e ha fatto alcune richieste basilari. Loro non avevano ovviamente l’ambizione di denunciare il caporale e di usare le parole forti, che magari usiamo noi. Loro chiedevano i servizi essenziali per riuscire a lavorare in condizioni migliori rispetto a quelle alle quali sono condannati: servizi igienici, raccolta dell’immondizia, bagni chimici... E solo uno ha trovato il coraggio di fare questo passo. E questa è una costante, che avviene sempre: in privato ci raccontano la loro storia, ma poi esporsi, prendere un microfono e denunciare, è un passaggio successivo, che è possibile realizzare solo nel momento in cui si definiscono dei progetti che nel territorio concretamente aiutano queste persone ad emanciparsi dal sistema di sfruttamento nel quale stanno. Nessun bracciante, sfruttato, vittima di tratta e di caporalato, appena gli dai il microfono ti dice esattamente come stanno le cose. Però questo coraggio che loro possono manifestare viene fuori solo nel momento in cui tu li accompagni in un percorso. Questo era anche il senso della marcia: costruire un legame tra la società di accoglienza e coloro che vivono in queste condizioni; noi ci siamo e siamo disposti a fare una battaglia.
Abbiamo chiesto per esempio l’apertura di un tavolo regionale sul tema dei ghetti, che deve saper non solo riflettere su come e perché si sono formati i ghetti, ma anche su soluzioni concrete, non cose vaghe.

E le autorità?

Alcuni ci hanno dato un’adesione immediata: il Comune di Latina, ma anche il Sindaco di Bitonto. Hanno aderito molte realtà e anche alcuni parlamentari: Davide Mattiello della Commissione Parlamentare Antimafia, Celeste Costantino sempre della Commissione Antimafia, la senatrice Fabbri, presidente della Commissione in Senato contro gli infortuni sul lavoro...  A noi sembra che la questione della ghettizzazione dei braccianti e dello sfruttamento imbarazzi molti, perché molti hanno delle responsabilità rispetto alla costituzione dei ghetti stessi. In Puglia, i ghetti ci sono da 20 anni, ma tutte le amministrazioni che hanno governato quel territorio hanno considerato la questione in maniera molto marginale. E l’intervento è stato sempre securitario: sbaracchiamo, arrestiamo il caporale, usiamo le manette. Io non sono contrario a questo tipo d’intervento, all’arresto di un criminale, ma molto spesso procedere solo in questo modo rappresenta un alibi, uno spot pubblicitario per dire “siamo intervenuti”, ma la risoluzione del problema è molto più complicata e richiede per esempio un forte intervento sulla Grande Distribuzione Organizzata (GDO, ndr), sulle grandi imprese che gestiscono i prezzi dell’ortofrutta.

Anche la nuova Legge sul Caporalato è puramente repressiva e non colpisce il vero cuore del problema...

Esatto. E’ una legge sicuramente migliorativa rispetto alla precedente, ma è soltanto un passo rispetto agli altri mille che si devono ancora fare. Io personalmente ritengo sia giunto il momento di ridefinire i rapporti della filiera produttiva e anche di quella commerciale. Il prezzo dell’ortofrutta e del pomodoro, in questo paese, viene definito con le aste al massimo ribasso: chi offre il pomodoro al prezzo più basso, vince. Ed è una contraddizione, perché un produttore ha dei costi fissi, e l’unico che può variare è il costo del lavoro. Si deve capire che lo sfruttamento è sistemico, che le variabili sono molte, non c’è soltanto il caporalato, la mafia, c’è la GDO, la filiera della trasformazione, ci sono i mercati ortofrutticoli e anche il consumatore. E c’è una dimensione globale dello sfruttamento: quando ne parliamo, tendiamo sempre a collocarlo in alcuni territori, in Puglia, nel Lazio, in Campania, ecc.. In realtà la dimensione è globale. Si pensi per esempio alla forza che ha il pomodoro cinese...

C’è però tutta una fascia di produttori di piccola scala, di contadini, che lavora lontano dalla GDO, non sfrutta i braccianti ed anzi si allea con loro contro questo sistema...

Certamente, ed alcuni di loro hanno marciato con noi e per noi è stato importantissimo. Molti produttori vengono schiacciati dal sistema, dalla GDO, dalle logiche del mercato... E’ fondamentale costruire alleanze, tra il produttore che crede nel proprio lavoro, e che sa produrre con qualità, nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, e i braccianti italiani e stranieri. E’ questo il vero atto rivoluzionario.

Pensate di ripetere l’esperienza?

Assolutamente sì, ci stanno già arrivando delle richieste su cui stiamo ragionando. L’obiettivo è sempre quello di accendere i riflettori e seminare bene, non lasciarla morire. Per questo è importante portare dentro questa marcia le istituzioni e i produttori di qualità, perché nei territori poi si possa andare avanti. Ci saranno quindi nuove iniziative. Io spero che una di queste possa essere organizzata nel nord del paese, dove la situazione è differente ma non migliore rispetto a quella di alcune aree del meridione.